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Fideiussione – art.1957 cc – Codice del Consumo

Fideiussione – Deroga all’art.1957 c.c. – Codice del Consumo Rif. Cassazione Civile, Sez. III, 28 settembre 2023, n. 27558 L’articolo 1957 c.c. titolato “scadenza dell’obbligazione principale”, al primo comma, prevede quanto segue: Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate.Anche all’attualità, le fideiussioni bancarie usualmente prevedono una clausola con la quale il fideiussore dispensa la Banca dall’agire verso l’obbligato principale inadempiente nel termine di sei mesi. Sulla validità di detta clausola, è intervenuta la nota sentenza della Suprema Corte, a Sezioni Unite, n.41994 del 30 dicembre 2021 che ha sancito la nullità delle fideiussioni omnibus stipulate secondo il c.d. «Modello ABI» dal 2002 al 2005, per violazione della normativa antitrust (a seguito del provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005). Ove la fideiussione «a valle» rechi clausole negoziali che riproducono pedissequamente il contenuto delle clausole coincidenti con quelle dichiarate «a monte» illecite dalla Banca di Italia, si configura la nullità parziale della fideiussione ex art. 1419 c.c. (cfr. da ultimo Trib. Milano, 19 gennaio 2022 e Appello Milano, 09 novembre 2022). Tra le clausole dichiarate «a monte» nulle vi rientrava anche la clausola che prevede la deroga al termine semestrale ex art. 1957 c.c Successivamente alla pronuncia a Sezioni Unite, si è assistito ad una vivace evoluzione giurisprudenziale (oggetto di un mio prossimo abstract) sulla sorte delle fideiussioni stipulate in epoca successiva all’arco temporale oggetto del provvedimento della Banca d’Italia. Il tema è delicato e attiene principalmente all’onere della prova: l’intesa anticoncorrenziale (che deve essere qualificata stand-alone e non follow-on) non si presume, dovendo il garante dimostrare (onere piuttosto gravoso) la sussistenza (anteriore o coeva) dell’intesa anti-concorrenziale al momento di rilascio della garanzia personale (Trib. Milano, 20 luglio 2022; Trib. Milano, 19 gennaio 2022; Collegio di Coordinamento dell’ABF n. 16511/2022). Fatta questa doverosa premessa, il tema da affrontare attiene – invece – alla qualità di consumatore in capo al sottoscrittore della fideiussione. La disciplina posta dal D. Lgs. n.206 del 2005 (c.d. Codice del consumo) è volta a tutelare il consumatore a fronte della unilaterale predisposizione ed imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista (e, nel caso che ci occupa, della banca). Si badi, il tema si affianca al disposto dell’art. 1341, 2 comma, c.c., sulle clausole onerose nelle condizioni generali di contratto. Proprio sulla deroga della decadenza prevista dall’art. 1957 c.c., sovente si è affermato che essa non è onerosa ed è nella libera disponibilità delle parti, non violando alcun principio di ordine pubblico (cfr. Trib. Roma, n.9265/2021; Trib. Milano, n.3797/2015). La norma di cui all’art. 1957 c.c. è, quindi, derogabile e rinunciabile dalle parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, comportando soltanto l’assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore (Cass. n.28943/2017; Cass. n.21867/2013; Cass. n.9455/2012, Cass. n.13078/2008 e Cass. n.9245/2007). Anzi è ammessa la deroga implicita: “In tema di fideiussione, la limitazione di responsabilità fissata dall’art. 1957 c.c. può essere implicitamente derogata attraverso l’impegno assunto dal fideiussore di garantire comunque, senza limiti di durata, l’adempimento dell’obbligazione principale, impegno che può desumersi dall’interpretazione complessiva del contratto di garanzia e di quello principale” (Cass. n.31569/2019). Va, tuttavia, osservato che il carattere disponibile della disposizione normativa prevista a favore di una delle parti del contratto non esclude la natura vessatoria di detta clausola, ove ciò si risolva nella limitazione di cui all’art.33, comma 2, lett. t) del Codice del Consumo. La clausola che contempla la rinuncia ad avvalersi della decadenza di cui all’art.1957 c.c. rientra pienamente nelle clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni. Pertanto, quando il garante riveste la qualità di consumatore, la conclusione di tale accordo derogatorio deve necessariamente essere perfezionata nel rispetto delle forme di tutela non più formali ma sostanziali richieste dal Codice del Consumo. È onere del professionista provare che le clausole unilateralmente predisposte siano state oggetto di trattativa individuale ex art.34, comma 5, Cod. Cons., non essendo sufficiente la specifica approvazione per iscritto prevista dalla disciplina codicistica ex art. 1341, comma 2, c.c. (Trib. Milano, 12 luglio 2019, Appello Brescia, 26 aprile 2023, Trib. Treviso, 7 giugno 2018). Ebbene. La Suprema Corte, con la sentenza in commento, conferma che una siffatta clausola è astrattamente idonea a configurare il significativo squilibrio a danno del consumatore di cui all’art. 1469-bis c.c., spettando peraltro al giudice di merito verificarne l’effettiva integrazione nel caso concreto, avuto riguardo al tenore dello contratto stipulato. Sul tema, peraltro, la giurisprudenza più recente ritiene che nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza comunitaria (CGUE nelle cause C-74/15 e C-534/15). Deve ritenersi consumatore anche il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale, stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (Cass., Sez. Un., n.5868/2023; sul tema Cass., n.742/2020; Cass., n.8419/2019; Cass., n.32225/2018 e Cass., n.449/2005). © Avv. Luca Campana | Benacus Firm

Recesso del socio di SNC – Responsabilità

Recesso del socio di SNC – Responsabilità Recesso del socio di SNC – Responsabilità – art.2290 – Rif. Cassazione Civile, sez. III, 23 ottobre 2023, n.29306 È notorio il fatto che, nelle società di persone, ove un soggetto cessi di essere socio,lo stesso continua a rispondere delle obbligazioni sociali sorte anteriormente allo scioglimento (ndr, recesso, cessione della partecipazione etc) del rapporto sociale. Per converso il socio uscente non risponde delle obbligazioni sorte successivamente allo scioglimento del rapporto sociale, a condizione che l’avvenuto scioglimento del rapporto sociale sia opponibile ai creditori sociali. L’art. 2290 c.c. statuisce, infatti, quanto segue: Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento. Lo scioglimento deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato. Tralascio il commento sul secondo comma dell’articolo in questione (ndr, usualmente il mezzo idoneo è la pubblicità nel Registro Imprese) e mi soffermo sul momento temporale in cui sorge l’obbligazione sociale. La locuzione «fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento» ha dato origine ad alcuni orientamenti giurisprudenziali contrastanti. Il momento temporale (in cui rileva la composizione della compagine sociale) è la data nella quale la società stipula il negozio e contrae l’obbligazione ?In prima battuta sembrerebbe la tesi più piana: pertanto, se a tale data non è stato pubblicato nel Registro Imprese il recesso del socio, l’obbligazione non può essere opponibile al terzo, non rilevando il momento successivo in cui il creditore intenti azione giudiziaria per l’inadempimento (cfr. Cass. n.24490/2013). Vengono a mente le obbligazioni sociali che la società ha “in corso” al momento dello scioglimento del rapporto sociale, in quanto conseguenza necessaria ed inevitabile dei rapporti giuridici preesistenti. A titolo esemplificativo, vi rientra il risarcimento di danni verificatesi prima del recesso del socio, le obbligazioni derivanti da contratti di durata (ad esempio gli importi dovuti dalla società per il pagamento delle rate di un mutuo contratto prima del recesso seppur con scadenza successiva), le obbligazioni tributarie esistenti al giorno dello scioglimento del rapporto sociale (cfr. Cass. n.17154/2017). La tesi non è del tutto appagante. Se è vero che le obbligazioni di una società di persone debbono ritenersi temporalmente correlate alla durata del rapporto sociale e, conseguentemente, sono escluse quelle contratte oltre la data dello scioglimento del rapporto sociale, non dovrebbe automaticamente bastare la circostanza che una determinata obbligazione sociale sia stata contratta prima dello scioglimento del rapporto sociale ove la stessa mantenga gli effetti oltre l’epoca dello scioglimento del rapporto tra il socio e la società. Così si è espressa la Suprema Corte nella sentenza in commento relativamente ad un contratto di locazione stipulato dalla società. A sostegno di tale interpretazione dell’art. 2290 c.c. la Corte afferma, in primo luogo, il valore significativo del dato letterale della norma, avendo il legislatore disposto una specifica limitazione nel tempo della responsabilità del socio per le obbligazioni sociali. La Corte ha affermato che la norma non ha sancito una limitazione di detta responsabilità per le sole obbligazioni sociali contratte successivamente allo scioglimento in quanto l’uso del termine responsabilità implica l’intenzione del legislatore di non riferirsi al debito, ossia alla situazione obbligatoria come tale, cioè come fonte di vincolo per la società che l’ha contratta, bensì al momento in cui tale situazione dà luogo a responsabilità, ossia al momento in cui l’obbligazione sia divenuta esigibile e sia stata inadempiuta. La Corte conclude, affermando che se è vero che le obbligazioni connesse a un contratto di locazione siano tutte direttamente riconducibili all’atto negoziale originario, la responsabilità del singolo socio per dette obbligazioni (già esistenti e meramente soggette a termini di esigibilità) deve ritenersi limitata nel tempo, ossia fino al giorno in cui si verifica l’eventuale scioglimento del rapporto sociale. La sentenza in commento, a mio avviso, individua esattamente la questione (cfr. anche Cass. n.17969/2021 che – in tema di caparra confirmatoria – ha affermato l’irrilevanza della conclusione del contratto, dovendo verificare esclusivamente il momento in cui è sorta l’obbligazione restitutoria). Il momento dell’insorgenza e/o esigibilità dell’obbligazione, correlato all’inadempimento della società, è un tema complesso poiché impone di analizzare le singole fattispecie (si pensi al tema del “momento impositivo” nelle obbligazioni tributarie). © Avv. Luca Campana | Benacus Firm

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