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Clausola compromissoria – collegio arbitrale – potestas iudicandi

Clausola compromissoria e potestas iudicandi del collegio arbitrale Segnalo l’interessante ordinanza interlocutoria del 16 marzo 2022 n.8591 con cui la Seconda sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per valutare l’opportunità di rimettere alle Sezioni Unite la seguente questione: Quale sia la sorte della clausola compromissoria inserita in un contratto di appalto (o di subappalto) e della potestas iudicandi del collegio arbitrale, qualora tale collegio, ignorando l’intervenuta apertura della procedura concorsuale, pronunci il lodo durante il decorso del termine di 60 giorni che la legge concede al curatore in caso di fallimento ex art. 81 L.F.In altri termini, la questione attiene alla validità (o meno) di un lodo arbitrale emesso, sulla scorta di una clausola arbitrale contenuta in un contratto di appalto sciolto per la mancata dichiarazione di subentro da parte della procedura concorsuale. La peculiarità della fattispecie discende dalla circostanza che la procedura concorsuale è intervenuta proprio in pendenza del deposito del lodo e ad istruttoria ormai chiusa senza che nessuna delle parti avesse comunicato agli arbitri l’evento. Il provvedimento è, quindi, stato emesso dal collegio arbitrale ignaro dell’intervenuta procedura ma nelle more dello spatium deliberandi di 60 giorni spettante ex lege ai fini dell’eventuale subentro nel rapporto. Secondo la tesi del ricorrente, dal venir meno del contratto di appalto discenderebbe automaticamente l’inefficacia della clausola arbitrale, privando gli arbitri del potere di decidere la controversia a loro devoluta e la conseguente violazione – in punto di diritto – operata dalla Corte di Appello avuto riguardo agli artt. 829, primo comma, n. 4 e 9, e terzo comma, c.p.c. e agli artt. 201, 72, 81 e 83 L.F. La Corte infatti aveva ritenuto valida la potestas degli arbitri e il lodo arbitrale. La sopravvenuta inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato contenuta in un contratto d’appalto non è tema di poco conto. Si tratta, in sintesi, di stabilire quale sia la sorte della clausola compromissoria inserita in un contratto di appalto (o di subappalto) e la permanenza della potestas iudicandi del collegio arbitrale, qualora il collegio arbitrale, ignorando l’intervenuta apertura della procedura concorsuale, pronunci il lodo durante il decorso del termine di 60 giorni che la legge fallimentare concede agli organi della procedura concorsuale ex art. 81 L.F. per decidere di subentrare (o meno) nel rapporto. Come è noto, in tema d’appalto, in caso di fallimento dell’appaltatore, l’art.81, primo comma, L.F. stabilisce quanto segue: «Il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori non dichiara di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte nel termine di giorni sessanta dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie.» Inoltre l’art. 83 bis L.F. stabilisce prevede che: «Se il contratto in cui è contenuta una clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito.» La Corte ha dapprima richiamato il proprio consolidato orientamento secondo il quale lo scioglimento del contratto di appalto in conseguenza del fallimento dell’appaltatore, a norma dell’art. 81 L.F., costituisce un effetto legale ex nunc della sentenza dichiarativa. Ma esso decorre dalla sentenza dichiarativa o dalla decorrenza del termine per la (mancata) comunicazione della dichiarazione di subentro ? Occorre quindi stabilire – si interroga la Corte – quale sia la natura della fase dedicata allo spatium deliberandi del curatore (o del commissario liquidatore) e, soprattutto, quale sia la sorte del lodo intervenuto in questa fase. La Corte richiama i due orientamenti sul punto. Il primo afferma che, durante lo spatium deliberandi riservato al curatore, si verificherebbe una fase di sospensione degli effetti del contratto, con salvezza, comunque, della potestas iudicandi. Il momento della risoluzione del contratto coinciderebbe con la scadenza del termine di 60 giorni concesso dall’art. 81 L.F. al curatore per deliberare l’eventuale subentro nel contratto, senza che la dichiarazione di subentro sia intervenuta. Pertanto lo scioglimento del contratto di appalto, non sarebbe una conseguenza automatica del fallimento di uno dei contraenti ma sarebbe l’effetto della scelta del curatore, che nel termine di legge, non ha dichiarato di voler subentrare nel rapporto. Il secondo orientamento afferma, invece, che durante lo spatium deliberandi riservato al curatore, si verificherebbe comunque l’inefficacia di tutte le clausole contrattuali, compresa la clausola compromissoria, in ragione dell’automatico scioglimento del contratto dovuto agli effetti ex nunc della sentenza dichiarativa di fallimento dell’appaltatore. Le conseguenze della scelta tra l’una e l’altra opzione (rileva la Corte) sono rilevanti: «nel primo caso, infatti, la sorte della operatività della clausola arbitrale sarebbe dipendente dal potere di subentro riconosciuto al curatore (o commissario liquidatore) e, quindi, il lodo intervenuto nelle more dello spatium deliberandi riconosciuto al curatore sarebbe valido (lo scioglimento del contratto ex art.81 L.F. sarebbe, dunque, l’effetto eventuale di un precisa scelta dell’organo fallimentare); nel secondo caso, invece, il giudizio arbitrale sarebbe comunque improseguibile e il lodo eventualmente pronunciato sarebbe affetto da nullità per carenza di potestas iudicandi.» La Corte, infine, evidenzia l’ulteriore questione di diritto da risolvere che è rappresentata dall’esatta portata dell’art. 72 L.F. In primo luogo la Corte si interroga se la norma (che sancisce l’inefficacia delle clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento) sia applicabile ai soli contratti non ancora eseguiti da entrambi i contraenti oppure anche ai contratti non più in esecuzione. La Corte richiama l’autorevole pronuncia delle proprie Sezioni Unite che ha affermato il principio secondo il quale in sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria. Infatti l’effetto attributivo della cognizione agli arbitri è paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento, dell’avocazione dei giudizi, aventi ad oggetto l’accertamento di un credito verso l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale, allo speciale, ed inderogabile, procedimento di verificazione dello stato passivo (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 06/06/2003 n.9070; nello stesso senso, Cass. Civ., Sez. Un., Ord. 21/07/2015, n.15200 e Cass. Civ., Sez. I, 04/09/2004, n.17891). La ratio comune risiede – prosegue la Corte – nell’esigenza di concentrare davanti ad un unico

Cessione di quote – diritto di voto

Cessione di quote – diritto di voto Cessione di quote – diritto di voto Come è noto, la circolazione della quote sociali, ante riforma del 2009, ai fini del suo effetto nei confronti della società, derivava dall’iscrizione nel c.d. libro-soci. Con l’abrogazione dell’obbligo di tenuta del libro-soci, il novellato art. 2470 c.c. prevede che solo il deposito della cessione presso il Registro delle Imprese sia opponibile alla società. Appare evidente che tale meccanismo può creare qualche incertezza poiché l’organo amministrativo deve verificare l’avvenuta iscrizione nel Registro delle Imprese del nuovo socio (inoltre tra il deposito e la fase d’iscrizione può passare diverso tempo, ndr). Ci si è chiesti, quindi, se il deposito per l’iscrizione sia in qualche modo surrogabile da altre fattispecie, al fine dell’ammissione all’esercizio dei diritti di voto da parte del socio. L’art. 2193 c.c. prevede, infatti, che il meccanismo della pubblicità dichiarativa, ove il fatto non sia iscritto, può essere opposto ai terzi (quindi anche alla società) qualora si provi che questi ultimi ne abbiano avuto comunque conoscenza. Tuttavia la giurisprudenza è monolitica nell’affermare una interpretazione restrittiva dell’art. 2470, 1°c., c.c., stante il il carattere imperativo che riveste la pubblicità dei trasferimenti di quote di S.r.l. Pertanto il deposito per l’iscrizione è elemento essenziale per l’opponibilità alla società del titolare della quota sociale e non rileva la conoscenza de facto che la società abbia avuto dell’intervenuto acquisto della quota. Non è neppure opponibile l’iscrizione atipica di domanda giudiziale avente ad oggetto la rivendicazione della titolarità delle quote (la cui ammissibilità d’iscrizione è fonte di dibattito, stante il principio di tipicità/tassatività dei fatti soggetti a pubblicità commerciale, ndr). È evidente che la domanda giudiziale che abbia ad oggetto la pronuncia di una sentenza costitutiva di trasferimento delle quote, non modifica la circostanza soggetta a iscrizione, poiché tale modificazione può conseguire soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento di detta domanda. Per converso, dal deposito della iscrizione nel Registro Imprese non può essere negata né la qualità di socio al soggetto iscritto né l’esercizio dei diritti connessi alla quota, neppure avuto riguardo a vicende d’invalidità dei rapporti tra cedente e cessionario delle partecipazioni (cfr. Trib. Milano, Sez. Impr. 5.12.2017, contra massime I.L.1 e I.L.2 Comitato Consigli Notarili del Triveneto). Il Tribunale di Milano, con la sentenza del 26 gennaio 2022, n.611 conferma il proprio indirizzo (cfr. Trib. Milano, Sez. Impr. 5.12.2017 e Trib. Milano, Sez. Impr. 5.2.2018; vedi anche Trib. Torino, Sez. Impr. 04.06.2021) nell’affermare che la disciplina dell’art. 2470 c.c. comma 1 c.c., è ispirata da esigenze di trasparenza e certezza sulle partecipazione sociale, ivi incluse tutte le vicende traslative o costitutive (volontarie o forzose), che incidano con carattere di realità sulla disponibilità della partecipazione e sull’esercizio dei diritti ad essa connessi. Ai fini della corretta individuazione del soggetto legittimato all’esercizio del diritto di voto in assemblea relativamente alla quota sociale, deve dunque farsi esclusivo riferimento solo alle risultanze del Registro delle Imprese in ordine al soggetto che, al momento della sua convocazione, riveste la qualità di socio. L’abolizione dell’obbligo del libro-soci, tuttavia, non significa che vi sia un divieto assoluto per la sua conservazione per le Srl già esistenti oppure la sua adozione facoltativa per scelta statutaria. È quindi possibile subordinare l’efficacia delle cessioni di quota sociale verso la società non solo al deposito ex art. 2470 c.c. ma alla iscrizione nel libro-soci ? Il tema è delicato in quanto l’autonomia statutaria, subordinando l’efficacia del trasferimento delle quote sociali nei confronti della società all’iscrizione del socio nel Libro soci, va ad incidere sulla norma dell’art. 2470 c.c. Il Consiglio Notarile di Milano (con la massima m.115/2009) ha ritenuto che sono valide ed efficaci le clausole statutarie che, pur dopo l’abolizione dell’obbligo di tenuta del libro dei soci, subordinino l’efficacia delle cessioni di quote nei confronti della società e la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali all’iscrizione nel libro dei soci facoltativamente istituito o mantenuto, ferma restando la necessità di previamente assolvere all’obbligo del deposito nel registro delle imprese di cui all’art. 2470 c.c. Anche il Comitato dei Consigli Notarili del Triveneto, con la massima I.L.3/2009, afferma che la disposizione dell’art. 2470, c.1, c.c. ha natura di «condicio juris», volta a differire l’efficacia del trasferimento delle partecipazioni nei confronti della società ad un momento successivo rispetto a quello del suo perfezionamento. È dunque possibile, in omaggio ai principi generali dell’ordinamento, apporre ad un contratto di trasferimento di partecipazioni ulteriori elementi accidentali di natura convenzionale [ndr l’iscrizione nel libro-soci], che non si sostituiscano alla condicio juris ma si sommino ad essa. Segnalo, tuttavia, alcune pronunce giurisprudenziali di segno contrario (Trib. Verona, 14.09.2009 e Trib. Roma, 15.01.2015) che ammettono la tenuta facoltativa del libro soci ma escludono che l’efficacia del trasferimento delle quote sociali rispetto alla società possa essere subordinata all’annotazione nel libro soci, in quanto l’art. 2470 c.c. è norma cogente ed imperativa non derogabile dall’autonomia contrattuale delle parti. © Avv. Luca Campana | Benacus Firm

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